Solo i diminutivi fanno rima con ino? No, ci sono molte altre parole. L’importante è capire come usarle.
Mettere le parole in rima non è un meccanismo istintivo: i bambini ci mettono qualche anno a comprendere il procedimento. Eppure ci sono tante filastrocche pensate proprio per loro. Perché? Perché la rima aiuta la memorizzazione, ed è molto utile per chi sta imparando a parlare.
Che vogliate creare un libro per bambini o dedicarvi alla poesia, o semplicemente stupire il vostro partner con un biglietto originale, ecco qualche consiglio per voi.
Rime con ino: il diminutivo
Il suffisso ino è utilizzato per trasformare le parole in vezzeggiativi e diminutivi. Un esempio eclatante è “piccolino”; il termine di per sé significa già minuto di forma, e l’uso del suffisso diminutivo serve a indicare anche una piacevolezza della cosa o persona cui l’aggettivo si riferisce.
Lo stesso accade con “bellino” e addirittura “bruttino”: l’aggettivo negativo viene fortemente mitigato dal suffisso. Come si potrebbe dire di un cucciolo appena nato, bruta esteticamente, ma talmente dolce da riuscire a vincere la sua bruttezza.
Rime con ino: termini derivati
Questo concetto viene ripreso anche in quella parole di senso compiuto che però mantengono in se stesse l’idea di piccolo. Ne scaturisce una quantità rilevante di termini derivati, che però hanno poi assunto un significato indipendente.
Lettino per esempio, in origine derivato di letto, oggi utilizzato per indicare il luogo del riposo dei bambino. Anche carino, in fondo, non era che il diminutivo dell’aggettivo caro, divenuto poi parola a tutti gli effetti.
Come cestino nasce per distinguersi da cesto (ormai meno utilizzato) e calzino come versione maschile di calza; e se il cinturino dell’orologio è il qualche modo una versione ridotta della cintura, il finestrino dell’auto è un parente stretto della finestra.
Qui l’elenco sarebbe lunghissimo: c’è il tappetino della macchina o del bagno, il farfallino da mettere al collo, il frustino dei fantini.
Parole di uso comune
C’è poi una categoria di parole che non hanno origine in quanto diminutivi e non derivano da altri termini, ma semplicemente finiscono con queste tre lettere. Per esempio abbaino, aguzzino, ovino, rabbino, giardino o il comunissimo bambino.
Rime con ino: come crearle
Il primo suggerimento è quello di guardarsi dall’eccedere nello sfruttare i diminutivi per fare le rime. Per esempio “Giocava bambino / tirando un bastoncino / al suo cagnolino” è tecnicamente corretto, ma un lettore si accorge abbastanza facilmente dell’espediente utilizzato.
In una poesia quindi potete utilizzare questa strada al massimo un paio di volte, una in più se il componimento è molto lungo; poi meglio cercare altro. Attingete dalla categoria probabilmente più ampia, quella degli “ex” derivati ora parole comuni, ed eviterete questo effetto.
Attenzione infine a quelle parole che terminano sì con le stesse lettere, ma non fanno rima, perché l’accento cade in modo diverso. Fra questi ci sono zaino, asino o acino, che non potrebbero mai fare rima per esempio con fattorino.
Ambivalenti le parole bisillabe, come vino, tino o pino. Queste possono essere usate per fare rima, ma essendo molto brevi devono essere ben inserite nella frase, in modo che la metrica sia rispettata e combaci con la frase precedente.